
Come atteso, l’adesione allo sciopero indetto dai Sindacati dei Lavoratori del Commercio il 6 gennaio è stata irrilevante: i lavoratori hanno capito perfettamente che il particolare momento economico non consentiva di perdere questa occasione per essere competitivi. Se lo aspettavano gli stessi organizzatori che avevano evidenziato come si trattasse soprattutto di un’iniziativa per far riflettere, rivolta principalmente a Comune e Regione.
Confcommercio, a questo punto, desidera dare un ulteriore contributo a tale riflessione.
In primo luogo, ci è parso inopportuno l’utilizzo di uno strumento di lotta tra le parti sociali, lavoratori e datori di lavoro, per dare un segnale ad altri soggetti, Comune e Regione, che non subiscono alcuna conseguenza dall’uso di tale strumento, i cui costi ricadono esclusivamente sui (pochi) lavoratori che si sono astenuti e i (pochi) datori di lavoro che hanno dovuto far fronte a tali astensioni. Se l’obiettivo della protesta erano Comune e Regione, si sarebbe dovuto agire nei loro confronti.
Veniamo al merito della questione: la data di inizio dei saldi.
Noi siamo sempre stati molto critici sulle aperture domenicali e festive. Non dimentichiamo che la nostra stessa base associativa comprende imprenditori che gestendo da soli o con la propria famiglia l’attività devono sopperire ad ulteriori turni di apertura con la propria presenza fisica, sottraendo anch’essi tempo alle proprie famiglie e al proprio indispensabile tempo libero.
C’è anche, però, un problema di efficienza economica: l’apertura domenicale o festiva, per le aziende, è un costo aggiuntivo che non viene assolutamente ripagato, perché la torta dei consumi rimane la stessa.
Se normalmente siamo contrari alle aperture domenicali e festive, in questo frangente, dopo la brusca frenata dei consumi registratasi nel biennio 2009-2010, non potevamo dire di no all’apertura dei saldi: è un momento assolutamente topico per i negozi di abbigliamento e calzature; non potevamo come associazione e non hanno potuto i commercianti, per non dare un vantaggio competitivo alle province o alle regioni limitrofe, più disinibite nell’accettare l’inizio dei saldi il 6 gennaio.
È troppo presto? Il 6 gennaio non va bene? Negli anni scorsi, quando la data di inizio dei saldi veniva fissata a macchia di leopardo, le regioni che avevano deciso di fissarli più tardi sono state danneggiate dalle regioni limitrofe che avevano cominciato prima. Era un gioco al massacro e, a forza di limature, nel 2010 si era arrivati addirittura al 2 gennaio! È evidente, riteniamo, la necessità di un coordinamento, quanto meno nel nord Italia. Meglio ancora se, sempre di comune accordo, la data viene fatta slittare a fine gennaio.
Non era peraltro prevedibile che ci fossero problemi. Prima del 1998 le domeniche di apertura erano esclusivamente quelle del periodo natalizio che, però, terminavano col 6 gennaio il quale pertanto, per il commercio, è sempre stato giornata lavorativa.
Desideriamo ribadire che la difficoltà sta nell’esigenza di trovare una giusta mediazione tra le aspettative dei consumatori, dei lavoratori e delle imprese delle diverse formule distributive, tenendo anche nella debita considerazione il marcato nomadismo consumeristico degli ultimi anni.
Articoli precedenti sullo stesso argomento:
- Inizio saldi e sciopero del 6 gennaio: l’eco della questione reggiana sulla stampa nazionale e regionale
- Sciopero Epifania: comunicato stampa congiunto RETE Imprese Italia